Recensione, impressione a Il SILENZIO
Chiudere un libro, terminarlo e sentirsi pieno, come se le parole che hanno tracciato, i solchi sulle pagine, hanno messo radici nel pensiero. Ti hanno fecondato di input, di elettricità nella richiesta, nella diramazione delle abitudini ragionative. Inoltre, terminare un libro come “Il silenzio” di Don DeLillo è scoprirsi nel presente e non essere sicuro che ciò che ti sta raccontando non potrebbe succedere da lì a poco. Dopo l’avvento della pandemia, con un virus non ancora del tutto sconfitto ma arretrato (almeno al momento dello scritto), una nuova e peggiore catastrofe è ciò che non ti aspetti, che non immagini, che non vorresti, invece è lì a portata di pagina: il nero. L’assenza di segnale – il rincorrersi dei bit -, di dati e di risposte di un mondo intero. Inizialmente non sai nulla, leggendo non puoi sapere, sei tra i due coniugi che tornano da un viaggio, impari a conoscerli entrando nelle loro vite, nei dettagli che vengono smaltiti, poi sei in una stanza, davanti alla tv a guardare il Super Bowl, si discute e improvvisamente è il nero, i tre personaggi si divincolano dalla realtà in modo diverso, chi si lega al passato aprendo un varco nella memoria, chi si rifugia nelle teorie della fisica pre-quantistica e chi, ascolta, si dimena e resiste. Questo testo viaggia su doppio binario, la coppia in aereo e il trio nel salotto, e scopriamo che i primi si dirigono dai secondi, lì la storia si incaglia, ruota e si conclude nelle domande; DeLillo ci lascia senza risposte, con un’angoscia mista a ricordi di un non più possibile mondo arcaico. Il nero dello schermo si dilata, sembra non lasciare scampo, sicuramente le teorie esposte nella fine appesantiscono un po’ il testo, ma allo stesso tempo lanciano una sfida, a comprendere.
Ci sono riferimenti ad altri testi, film, canzoni, dipendenze. La strada di McCarthy, ad esempio…