Polteppe

“Polteppe polteppe” e uscivo, correndo, sbucando dagli angoli dove le ombre riposavano dagli attacchi del sole, scivolando sotto il tavolo e allungando la mano in attesa della rosetta ripiena di polpette al sugo. La domenica era sempre stata così nella casa materna, piena di intrugli e soluzioni, colma di rimedi e distrazioni. Mia nonna all’alba attendeva il fornaio che ritirava il pane per la cottura, la magia dei segni sul dorso della pagnotta. Mio nonno, contadino, vestiva l’abito del chimico elegante, giacca, pantaloni e camicia, la ritualità degli abiti e il sapore della fatica, e sempre di domenica stendeva attorno ai sacchi di juta uno spesso rotolo di plastica e lì sopra mischiava la storia e la scienza, elaborando il prossimo raccolto, sperando nella buona riuscita del suo pugno e della sua bilancia. E negli anni non ha mai smesso coi riti, non ha mai atteso l’alba, l’ha sempre partorita.

Carne

Nel recidere la mano sinistra ci mise più attenzione, perché la committenza era esigente, e nel messaggio parlava chiaro: applicare la massima cura, usare strumenti sterilizzati, il taglio deve essere a metà del braccio per evitare che ulna e radio… eccetera. Duilio era un ottimo commensale e ragazzo tutto fare, ma leggere troppe volte, era altra cosa, e lui pensava solo a Ersilia che avrebbe riso tanto per la sua sibilante allungata a sentirlo leggere i suoi messaggi, per questo preferiva le emoji, erano più immediate e non facevano perdere tempo, soprattutto quando uno ha del lavoro di precisione da svolgere. E poi la sera, avrebbero mangiato carne fresca dopo il turno, lui le avrebbe fatto la proposta e sapeva come sorprenderla, aveva conservato la mano destra, voleva farne un calco, assottigliare le dita, forse, ma a guardar bene l’anello entrava anche nel mignolo e a lui la cosa piaceva.